La località Tovo, che si dipana lungo il torrente Gallavesa, fu sede di molti insediamenti produttivi che sfruttarono le sue ricche acque, prima con le ruote idrauliche e poi, a partire dai primi anni del XX secolo, con le centraline elettriche. La memoria di queste attività è ancora testimoniata dalla toponomastica viaria (Via Maglio, Via Torchio, Via Folla) e da alcune strutture, ormai trasformate in abitazioni. Tovo è un toponimo diffusissimo nella zona che, secondo la sua etimologia, sta ad indicare la presenza di acqua e tufo, elementi che non mancano in questa località.
Il Gallavesa
Il Gallavesa è il corso d’acqua più lungo dell’alta Valle San Martino e la sua valle scende da Erve fino all’Adda, dividendo Calolziocorte da Vercurago. Il suo scorrere ha scavato nei secoli un canyon di rara bellezza per geologi e naturalisti che, nelle sue rocce, hanno rinvenuto importanti ammoniti e conchiglie fossili. Il nome Gallavesa sembra non trovare riscontro nel dialetto locale, in cui è anzi noto come “lavall”. Secondo un’ipotesi deriverebbe dalla presenza di un confine segnalato da una chiusa, da una “muraglia” o dal fiume stesso (dal dialetto veneto Gala-Vesa, “Chiusa-Vecchia”), tesi avvalorata da alcune tracce di “muro” rinvenute lungo il torrente.
Ruote e mulini
La presenza umana intorno al Gallavesa è molto antica, ma è difficile dire con esattezza quando abbia avuto inizio lo sfruttamento industriale delle sue acque. Le prime testimonianze di una discreta attività risalgono alla fine del XV secolo, quando troviamo installati un mulino e una “fóla”, cioè una macchina idraulica per la battitura e il lavaggio dei panni (che ha certamente dato il nome alla vicina frazione di Vercurago ribattezzata “Folla”). Nella seconda metà del ‘500, secondo la relazione di un capitano veneziano, si trovavano cinque mulini che corrispondono agli attuali numerici civici 9 e 11 di Via Tovo, al 3 di Vicolo Tovo, al Maglio e alla “Fola”. L’avvento delle centraline elettriche favorirà la sostituzione delle ingombranti ruote idrauliche, sempre bisognose di manutenzione, con i motori. Il primo fu montato dai tornitori Panzeri nella loro bottega del Tovo (Via Tovo 14) nei primi decenni del XX secolo. I mulini ad acqua andarono in lento e graduale deterioramento. Nel 1850, le rive del Gallavesa vedono una presenza intensissima di attività che producono lavoro e sviluppano l’economia, trasformando il Tovo in uno dei centri propulsori dell’economia della Val San Martino. A quell’epoca lungo il torrente, in Calolziocorte, troviamo diversi mulini da grano, filatoi da seta, la folla da panni e un torchio, tutti azionati da ruote idrauliche di diverse dimensioni. Più tardi, all’inizio del ‘900 faranno la loro comparsa anche la fucina di un fabbro, alcuni torni per legno, botteghe/officine per la produzione di bottoni in osso, di fusi e minuterie per la filatura della seta. Tuttavia il torrente Gallavesa restò protagonista dell’attività industriale ancora per tanto tempo: ben tre centraline, insediate sul suo corso, produssero energia elettrica fin quasi al 1980 per importanti fabbriche della zona come la Sali di Bario.
La Malanotte
L’identificazione dei cosiddetti Luoghi manzoniani è spesso dubbia e motivo di dibattito, come sempre accade quando si cerca di entrare nella palude della ricerca di realtà fattuali di un’opera letteraria che – per quanto ben scritta, verosimile e importante nella storia della letteratura – rimane pur sempre un romanzo. Non vi è quindi una certezza sull’identificazione della località Tovo come sede della Malanotte, la famosa taverna dalla quale i bravi di don Rodrigo partivano per le loro bravate tipo quelle consumate ai danni dei protagonisti.
Il Tovo, inteso come Malanotte, viene utilizzato dalla tradizione popolare come punto di riferimento per individuare nel castello di Rossino il rifugio dell’Innominato. Sebbene, come abbiamo detto, non sia possibile fornire prove concrete, tale memoria rimane, in qualche modo, nella toponomastica del Tovo con una via intitolata proprio alla Malanotte.
Il Maglio
Seguendo il corso del torrente si arriva al suddetto Maglio dove, nel 1850, Giacomo Bolis, padre di Don Achille Bolis, è proprietario di un mulino da grano ad acqua con casa annessa. Sarà lo stesso Don Achille, più tardi, a vendere la struttura ai fratelli Pietro e Paolo Offredi che lo trasformeranno in un maglio inizialmente attivato da due ruote e poi, verso il 1930, sostituite da una sola, in ferro, proveniente da un mulino da grano di Erve dismesso. Il Maglio degli Offredi rimane l’ultimo testimone di queste attività produttive, dovrebbe essere ancora funzionante con l’intero sistema di trasmissione a cinghia ed ha mosso il maglio per la produzione di roncole e falci fino al 1981.
- DELL’ORO D., Conoscere la Valle. Atti dei seminari condotti in collaborazione con il comune di Calolziocorte: Il paesaggio, Comunità Montana Valle San Martino 1994
- NERI I., La valle del Galavesa, «L’Eco di Bergamo», 15 luglio 1957; Calolziocorte manzoniana. Dov’era la Malanotte?, «L’Eco di Bergamo», 2 marzo 1937 e Il castello dell’Innominato, «Giornale di Lecco», 19 aprile 1971 in Minuzzoli di storia e di vita di Calolziocorte, Calolziocorte 1978